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La recessione si specchia in una sfera d'acciaio

di Nino Ciravegna

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3 settembre 2009

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C come cinesi
Sono arrivati nel 2002, prima con le sfere di ferro, conquistando la fascia bassa del mercato europeo. Poi sono entrati nel settore dell'acciaio. «Vendono a un terzo dei costi che noi dobbiamo sostenere in Italia. Abbiamo reagito comprando macchinari complessi, stampatrici americane, forni con impatto sostenibile sul fronte ambientale. Non c'è stato niente da fare, il divario dei prezzi è troppo alto. Siamo andati in Cina per cercare di capire come fanno a vendere a prezzi stracciati: il loro costo della manodopera è così basso che possono permettersi un operaio per ogni macchina, risultando competitivi anche se da noi un operaio sovrintende a sei macchinari. A precisa domanda, hanno risposto che non è un loro problema sapere dove finiscono gli sfridi, non hanno impianti di depurazione e tutto il resto. E l'energia la pagano a prezzi impensabili per noi. La battaglia è persa».

D come dumping
In questi mesi di crisi internazionale i concorrenti cinesi, che in Italia possono contare su un agguerrito distributore che ha imparato il mestiere proprio alla Bbsfere, stanno puntando tutte le carte su prezzi ancor più bassi, a costo di lavorare in perdita. «Ho provato a chiedere d'imporre dazi, così come hanno fatto i produttori di bulloni e altri settori. Ma ero la sola a sollecitare tale misura, essendo rimasta l'unico produttore indipendente d'Italia. Per mille motivi burocratici non ci sono riuscita».

E come enti locali
«Ci sono voluti sette anni per avere il permesso di costruire un nuovo capannone e il via libera, ironia della sorte, è arrivato in piena crisi. Ora è lì, non l'abbiamo completato. Ho scritto al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per lanciare l'allarme sulla mia impresa. Ho avuto un incontro ufficiale con 18, ripeto 18, dirigenti. Poi neanche una risposta».

F come fonti energetiche
«I nostri motori ad alta potenza sono voraci e il costo dell'energia incide per più del 20% sul costo finale. Paghiamo l'energia più cara d'Europa (Irlanda esclusa). Siamo entrati in un consorzio di produttori per risparmiare sull'elettricità, ma un taglio del 5-6% è insufficiente».

I come infrastrutture della Brianza
«Siamo isolati. Siamo a una trentina di chilometri da Milano, ma ci vogliono ore per arrivarci. Hanno fatto mille promesse sulle infrastrutture, ma sono rimaste sulla carta. I progetti, esposti in tanti convegni, sono chiusi nei cassetti. È quasi impossibile pianificare le consegne, con conseguenti aumenti dei costi. Un disastro».

M come manodopera specializzata
«La lavorazione delle sfere, contrariamente a quello che si può credere, richiede grande manualità e forte specializzazione tecnico-professionale: c'è la fase dello stampaggio, della rodatura e della rettifica. Poi, si passa al lavaggio, alla lucidatura e al controllo finale di qualità. È un lavoro sporco, rumoroso e faticoso. I macchinari sono complessi, ma ci vuole occhio, manualità, grande esperienza per capire quando una sfera è pronta o se ci sono difetti anche minimi. Devo dire che negli anni abbiamo assistito a un livellamento verso il basso dei nuovi addetti. In Brianza non ci sono scuole professionali adeguate e questo significa perdere drammaticamente competenze e capacità che impoveriscono tutto il territorio».

P come perdite
«Pur di continuare la nostra attività abbiamo accettato di lavorare in perdita per tre anni. Pur di continuare abbiamo venduto l'azienda di Treviso e un capannone in Brianza, ma poi siamo stati travolti. Non ci siamo arricchiti impoverendo l'azienda e questo i nostri dipendenti lo hanno capito e apprezzato».

Q come qualità
I cinesi stanno invadendo l'Europa, ma non sono ancora in grado di garantire una qualità costante. «Di fatto – spiega ancora Bonacina – molti clienti mi hanno detto che ricevono intere partite da buttare. Questo è il prezzo che si deve pagare se vuoi risparmiare sui costi d'acquisto». Sarebbe stato possibile, per i fratelli Bonacina, chiudersi nella nicchia delle sfere di alta qualità o con acciai speciali, come quelli utilizzati dalla Ferrero per macinare il cacao, ma il business sarebbe stato troppo piccolo per un'azienda così strutturata.

R come rifiuti industriali
«Il 25% dell'acciaio viene perso nella fase di stampaggio e delle altre lavorazioni. Prima lo consegnavamo all'Ilva di Genova, poi all'impianto di Taranto. Ora non è più possibile. L'acciaio è diventato "rifiuto industriale non pericoloso", dobbiamo sopportare complesse operazioni per la raccolta, la catalogazione e la conservazione di questi rifiuti, con decine di formulari da riempire e conservare e poi paghiamo fior di fatture per la consegna alla piattaforma specializzata. Abbiamo anche avuto offerte per esportare gli sfridi, ma non c'erano sufficienti garanzie su dove sarebbero finiti: non abbiamo voluto rischiare. Gli enti pubblici, assenti nella gestione della crisi, sono sempre stati presenti per minuziosi controlli sullo smaltimento dei legni dei pallet o dei toner delle stampanti. Sono favorevole alla difesa ambientale, ma ci sono adempimenti burocratici che fanno perdere la voglia di lavorare».

  CONTINUA ...»

3 settembre 2009
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